Si ricorda tutto,Enzo Sisti. Non solo le grandi star con cui ha lavorato, da Clint Eastwood a Martin Scorsese, ma tutti i minimi dettagli dei set che ha iniziato a frequentare da giovanissimo, iniziando come fattorino e diventando infine uno dei produttori italiani di riferimento per produzioni internazionali che vengono a girare in Italia, specialmente dagli Stati Uniti. Il suo cuore, però, è a Roma. Anzi, a Cinecittà, dove a 77 anni continua a lavorare senza sosta. Da quando ha iniziato, con Sacco e VanzettidiGiuliano Montaldo, non si è mai fermato. Ancora oggi, ammette, è il primo ad arrivare sul set e l’ultimo ad andarsene. Tra i titoli che hanno visto la luce anche grazie a lui, La passione di Cristo, Life Aquatic, Il Paziente Inglese, I due Papi. Cinema amato, premiato, ricordato. Recente il successo di Ripley, la serie da lui prodotta per Netflix con la regia diSteven Zaillian,nominata a 13 premi Emmy, gli Oscar della televisione. Mosso da una passione inestinguibile, dopo tanti anni Sisti ha ancora spazio per i sogni nel cassetto. Uno su tutti, il remake di Per un pugno di dollari.
Iniziamo dalle ultime notizie. La serie Ripley ha ottenuto 13 nomination agli Emmy, di cui 6 a degli italiani. Un grande risultato per una serie molto apprezzata in Italia e all’estero.
Assolutamente, dobbiamo esserne fieri. Mi sono accorto subito che Ripley sarebbe stato un capolavoro. Proprio mentre lo giravamo, mi era già successo sul set de Il paziente inglese. Per Ripley avevamo una troupe eccellente, composta quasi completamente da italiani. Ripley è girata tutta in Italia, esclusi cinque giorni in America. Dopo l’annuncio delle nomination, Steven Zaillian mi ha scritto per fare le congratulazioni a tutti gli italiani coinvolti. “Uno splendido riconoscimento al vostro talento” mi ha detto. Lui l’Italia l’adora.
Viene riconosciuta sempre di più l’eccellenza italiana
Siamo tra i più bravi. Non c’è paragone.
In questi giorni è arrivata in streaming su Prime Video anche Those About to Die. Questi due titoli hanno in comune la sua presenza come produttore e Cinecittà
Cinecittà è importantissima, un brand famoso in tutto il mondo. Quando entri qua respiri un’atmosfera diversa. In America non è lo stesso. Io conosco gli studi della Universal, della Sony, della Warner: lì è tutto business. Qui è business e cuore.
Lei lavora qui da molti decenni. C’è un ricordo particolare a cui torna spesso con la mente?
Io a Cinecittà lavoravo anche fino a mezzanotte, non ho mai avuto orari, perché questa è la mia vita. Una notte però sentii dei passi, sempre più vicini e spaventosi. Allora presi una mazza da softball, che ho ancora qui con me, e ho messo la testa fuori dall’ufficio. Alla fine era solo un addetto della vigilanza di Cinecittà, ma da quel ricordo ora vorrei realizzare un cortometraggio, e chissà, magari un intero film con un paio di attori americani. The ghost of Cinecittà. Abbiamo già buttato giù 6-7 pagine di trattamento.
Lei lavora sempre
Non mi fermo mai. Il primo film a cui ho lavorato, l’ho fatto come capo amministrazione, e la barba non mi ancora era spuntata completamente. Era il 1970. All’inizio ho fatto di tutto e non sapevo nemmeno cosa fosse veramente il cinema. Ho cominciato proprio qui, a Cinecittà, con Sacco e Vanzetti. Qua mi sento a casa. Vengo spesso in ufficio anche il sabato e la domenica.
Negli ultimi anni, a Hollywood e non solo, c’è stata una vera riscoperta dell’Italia tra i luoghi cardine della produzione cinematografica internazionale. A cosa imputa questa grande rinascita?
Il Tax Credit ha smosso tutto. Il credito di imposta italiano è il migliore al mondo e dobbiamo solo renderlo ancora più semplice, con meno burocrazia. E poi c’è l’Italia, la sua bellezza intendo, ma anche l’eccellenza dei tecnici, delle maestranze e degli artigiani che lavorano in questi studi. Possiamo essere i primi in Europa.
Opere come Ripley confermano che all’estero interessa anche la bellezza più nascosta dell’Italia, non solo quella delle location riprese con il solito stile da cartolina
Esatto. Quando mi ha chiamato Steve Zaillian, io avevo in mente tutt’altra opera: piena di sole, canzoni, bella vita. Io ho fatto anche Il talento di Mr. Ripley, quindi pensavo di avere le idee chiare. Ed è lì che lui mi ha spiazzato; aveva in mente di fare un thriller in bianco e nero. L’abbiamo girato contemporaneamente a colori e in bianco e nero. Robert Elswitha fatto un lavoro incredibile ed ero veramente affascinato nel vederlo lavorare su ogni idea di luce.
Lei sta tanto sul set durante le riprese?
Sono sempre sul set. Arrivo spessola mattina prima della convocazione e me ne vado sempre dopo qualche ora dalla fine delle riprese. Questa è la mia vita, mi piace stare con la troupe, scoprire come lavorano, vivere ogni passaggio, stare con loro. A volte vado anche prima a rendermi conto che tutto funzioni e che ci sia tutto quello di cui abbiamo bisogno. Se la troupe vede la tua passione e il tuo amore per il lavoro che fai, stai tranquillo che ti seguirà.
È molto raro che un produttore partecipi così tanto ai lavori sul set. Anzi, spesso l’idea è quella del produttore che arriva sul set per rimettere in sesto i conti e basta
Mi diverto lavorando. Vengo dal basso, e questo non lo dimentico. Non sono Mr. Hollywood, piuttosto Mr Colosseo. Ho iniziato lavorando alle corse di cavalli, all’ippodromo di Tor di Valle, e poi un giorno un amico di scuola che faceva il ragioniere per una società di distribuzione cinematografica, la stessa che realizzò Per un pugno di dollari, mi chiamò per dirmi che serviva un fattorino. Spedivo le pizze dei film agli agenti regionale, preparavo la posta, mi occupavo di tutte le piccole necessità della gente che lavorava in ufficio,ho fatto davvero di tutto.
E di tutte queste esperienze, qual è secondo lei l’insegnamento che ancora oggi si porta dietro?
Essere me stesso. Ho un’estrazione romana, l’esperienza dei miei genitori e di gente che ha vissuto durante la guerra. Qualche volta mi dicono del mio forte accento romano, la mia cadenza romanesca è questa ed è anche ciò che sono, e non cambio. A Roma nasci con il Colosseo e il Papa che passa tra la gente, come uno di noi. È una palestra che insegna a essere disincantati. Poi gli americani giustamente apprezzano chi mantiene la parola, paga in tempo ed è organizzato. Lì sono conosciuto per questo, forse più che in Italia. È qui però che sto bene. Quando viaggio in giro per il mondo sogno di tornare. Quando sono tornato dalla mia prima permanenza fuori dall’Italia, a Dublino, per il film Sacco e Vanzetti, mi sono inginocchiato e ho baciato la terra appena sceso dall’aereo a Fiumicino.
In fondo, il cinema è anche un viaggio
Sì, un’avventura, una scuola di vita. Hai in mano una sceneggiatura e due anni dopo esiste un film. Quanto lavoro c’è dietro. Diciamo che è proprio una magia, come altro vuoi chiamarla?
È evidente anche in questo momento la sua grande passione per il cinema
Ho la pelle d’oca anche ora a parlare di cinema. Quando sei qui, cammini tra gli Studi di Cinecittà, tutto può venire bene o male, ma alla fine, con la passione e col cervello, la magia accade.
E quale sarà la sua ultima magia, c’è ancora qualcosa che sente di dover realizzare?
Sì. Io ho cominciato la mia storia con i produttori di Per un pugno di dollari, adesso vorrei realizzare il remake di questo grande film.Sarà un’operazione difficile, ma ci proveremo. Nel 2017, mentre lavoravo con Clint Eastwood, gliene avevo parlato. Quasi per gioco gli avevo detto che sarebbe stato bello averesuo figlio Scott nella parte che fu sua e che lo lanciò nel cinema. Clint è fantastico, si ricorda ancora tutta la troupe con cui aveva lavorato.
E cosa le ha detto Clint Eastwood?
Si è messo a ridere, incuriosito; chissà!